Attualità

Transizione energetica: infrastrutture e occupazione, due temi aperti

L’uscita dal mercato delle auto e dei furgoni a combustione interna dal 2035 prevista dal pacchetto Fit for 55 rilancia l’allarme infrastrutture, inadeguate a sostenere la mobilità elettrica. Altrettanto urgenti, per il settore aftermarket, riconversione industriale e tema occupazionale

Due temi urgenti e particolarmente critici per l’aftermarket automotive, per affrontare gli effetti dell’attuazione del pacchetto Fit for 55 e della transizione energetica necessaria per il Green Deal, sono l’implementazione delle infrastrutture (che coinvolge non solo l’Italia e non solo le ricariche elettriche, ma anche quelle di idrogeno e biocarburanti e carburanti sintetici “sdoganati” dal Consiglio UE come alternative al “solo elettrico”, in favore della neutralità tecnologica) e l’occupazione, a rischio in tutta Europa, che va tutelata garantendo la tenuta del nostro un sistema produttivo manifatturiero all’interno delle filiere globali.

Infrastrutture di ricarica elettrica insufficienti in Italia

L’uscita dal mercato delle auto e dei furgoni a combustione interna dal 2035 rilancia l’allarme infrastrutture, assolutamente inadeguate a sostenere lo sviluppo accelerato della mobilità elettrica e a idrogeno.

Secondo le ultime previsioni di AlixPartners, le auto elettriche supereranno i veicoli tradizionali in termini di quota in tutti i principali mercati, ma non prima del 2035 e la conferma del programma europeo Fit for 55 genererà un ulteriore incremento e accelerazione della penetrazione di veicoli BEV, che nel Vecchio Continente rappresenteranno il 44% nel 2028 e l’83% nel 2035.

In Italia, i veicoli a batteria passeranno dal 4% del 2021 al 54% nel 2030 (quote inferiori agli altri principali paesi europei) per raggiungere i valori stabiliti dal FT55 nel 2035. Alla crescita del mercato delle vetture elettriche, dovrà necessariamente corrispondere un potenziamento delle infrastrutture, tallone d’Achille di tutto il sistema.

Le misure del pacchetto, di fatto, prevedono l’obbligo per i Paesi membri di velocizzazione lo sviluppo della rete di ricarica, installando colonnine a intervalli regolari di 60 km sulle principali autostrade e punti di rifornimento per l’idrogeno ogni 150 km.

I punti di ricarica elettrica in Italia e in Europa

In Italia i punti di ricarica sono attualmente circa 30.704, collocati in 15.674 colonnine, nella maggior parte a bassa potenza (giugno 2022): con 750 milioni di euro previsti nel PNRR, dovranno esserne installati ulteriori 21mila (10.500 colonnine), prevalentemente a media e alta potenza, potenzialmente sviluppando una capacità sufficiente nel 2025 al parco elettrico previsto nel 2030.

Secondo Acea, oggi, i punti di ricarica nella UE sono circa 307mila (l’Italia è al quinto posto): una cifra decisamente inferiore a quanto richiesto per raggiungere gli obiettivi climatici del Green Deal. Tra meno di 10 anni, dunque, ne serviranno circa 7 milioni ovvero 22 volte quelli odierni.

Secondo il direttore generale di Anfia, Gianmarco Giorda “è necessario che gli Stati membri abbiano anche dei target mandatari per l’installazione dei punti di ricarica per auto elettriche e non solo… Se manca un’infrastruttura non solo capillare, ma anche caratterizzata da soluzioni di ricarica miste (veloce e ultrafast), si rischia di non utilizzare i veicoli in maniera idonea. Non si tratterà di un passaggio facile, perché le infrastrutture di ricarica hanno un costo significativo. Le ultrafast, che consentono ricariche del 40-50% in un quarto d’ora e sono le più indicate nelle strade ad alto scorrimento, raggiungono i 150-200mila euro. E la tecnologia disponibile in questo settore ha dei costi importanti”.

Lavoro e occupazione nella filiera automotive

Continua Giorda,  “In Italia circa 50-60mila addetti operano nell’ambito delle tecnologie e dei componenti legati ai powertrain tradizionali (in Germania sono 200mila). Poi c’è anche l’indotto collegato: aziende che si occupano di lavorazioni meccaniche, fonderie e, a valle, i settori della distribuzione, dell’aftermarket, dei ricambi”.

Gli aspetti sociali della transizione energetica, non meno dirompenti di quelli industriali e infrastrutturali, potranno coinvolgere gli imprenditori, i lavoratori e le loro famiglie. È pur vero che il Fit for 55 prevede  il rinvestimento di risorse generate dagli strumenti attivati per la fissazione del prezzo del carbonio per incentivare l’innovazione, la crescita economica e gli investimenti nelle tecnologie pulite e il nuovo Fondo sociale per il clima ha l’obiettivo di assegnare finanziamenti specifici agli Stati membri UE: 72,2 miliardi di € per il periodo 2025-2032, sulla base di una modifica mirata del quadro finanziario pluriennale, con la proposta di ricorrere a finanziamenti nazionali analoghi, il Fondo mobiliterebbe 144,4 miliardi di € per una transizione socialmente equa.

Ma questa iniziativa non impatta sul rischio oggettivo della perdita di occupazione: l’ipotesi che prossimi anni si verifichino riduzioni di volumi produttivi e anche fuoriuscite dal mercato di aziende della componentistica è oggi sempre più concreta.  

Il presidente di Anfia Paolo Scudieri parla di 450 imprese italiane legate alla produzione di componenti tradizionali molto esposte al rischio lavoro. E CNA lancia l’allarme, anche per il comparto della manutenzione e riparazione: a rischio in Lombardia 20mila posti di lavoro della filiera auto.

Le imprese lombarde che operano nella filiera auto sono 30mila

Si legge nel comunicato diffuso a giugno da CNA che “Le imprese lombarde che operano nella filiera auto sono 30mila, 13mila delle quali artigiane. Il 93% delle imprese artigiane della filiera appartiene al settore della manutenzione e riparazione di autoveicoli.

In Lombardia, la filiera dell’auto conta circa 100mila mila addetti e di questi, circa 70mila lavorano in micro-piccole imprese. Per CNA, bloccare l’evoluzione tecnologica di ogni propulsore, consentendo la vendita delle sole auto elettriche significherebbe mettere a rischio oltre 20 mila posti di lavoro nella sola Lombardia.

Per il Presidente Regionale della categoria Meccatronici, Luciano Castellin, si tratta di “una chiusura concettuale improponibile ai giorni nostri in quanto, oltre a mettere in ginocchio tutta la filiera della componentistica automotive legata all’endotermico, dalla produzione di cilindri, iniettori e pistoni blocca, di fatto, lo sviluppo di sistemi basati su biocarburanti immediatamente disponibili per decarbonizzare e ai nuovi carburanti non fossili, a basso contenuto di carbonio”.

Sebbene il Consiglio UE abbia reintrodotto i biocarburanti, (con verifiche da farsi più avanti, per valutarne l’efficacia), CNA Lombardia è preoccupata e chiede il rispetto di regole chiare e certe sull’efficientamento e sull’inquinamento, al di là della tipologia di soluzione tecnologica adottata, ribadendo che bisogna considerare tutte le criticità che un approccio non graduale, equo ed inclusivo per le Pmi, può comportare per tutta la filiera dell’autoriparazione.

“Appare doveroso attivare politiche di supporto alle imprese e ai lavoratori investiti da questo cambiamento di paradigma: politiche attive del lavoro, politiche di aggiornamento professionale e di formazione permanente, politiche di incentivazione agli investimenti di riconversione”. Così, conclude il Presidente regionale di CNA Produzione, Mario Gualco: “L’Unione Europea faccia scelte serie, equilibrate, evitando atti di autolesionismo industriale”.

Aftermarket: l’Europa teme la perdita di occupazione

Infine, come hanno reagito le associazioni industriali e di categoria europee che rappresentano la filiera automotive?

Per Clepa, Associazione Europea dei Produttori di Componentistica la perdita occupazionale europea potrebbe raggiungere circa i 500mila posti di lavoro nella filiera della produzione di componenti per i motori a combustione (360mila salterebbero già nel 2030).

“I nostri lavoratori sono una risorsa essenziale non solo per l’industria, ma anche per l’Europa. Speravamo in una decisione più chiara contro la messa al bando della tecnologia, per evitare danni al tessuto industriale esistente e per progredire verso una politica efficace ed efficiente per una mobilità neutrale dal punto di vista climatico… Questa decisione impone ai politici una grande responsabilità nel sostenere la transizione. Siamo preoccupati per la mancanza di impegno nella realizzazione di infrastrutture di ricarica e rifornimento, nonché nella capacità di produrre elettricità e carburanti rinnovabili. In futuro, è necessario considerare criteri quali l’accessibilità economica, l’accesso alle materie prime, le emissioni lungo il ciclo di vita e l’occupazione nel settore”, ha dichiarato a luglio Sigrid de Vries, Segretaria generale di Clepa.

Nessuno intende arrendersi e a due giorni dal Consiglio UE che ha approvato il Fit for 55 è nata l’Automotive Regions Alliance, associazione delle regioni europee con un forte settore automobilistico, che conta già 20 regioni europee di sette Stati membri – oltre all’Italia (con Lombardia, Piemonte, Veneto e Abruzzo), Austria, Francia, Germania, Slovacchia, Spagna e Paesi Bassi. L’obbiettivo è sostenere una transizione “verde” ed equa dell’industria automobilistica e della sua filiera, che garantisca posti di lavoro, competitività e coesione sia economica sia sociale in ogni territorio europeo interessato dalla transizione.

a cura di MaB.