
Uno studio dell'Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss Business School evidenzia l’espansione del mercato delle vetture elettrificate in Italia e richiama l’attenzione sull’urgenza di criteri condivisi per classificare le diverse tipologie. Ecco le proposte per fare chiarezza tra Mild, Full, Plug-in e Middle Hybrid
In Italia il mercato delle auto ibride sta vivendo un vero e proprio boom. Una boccata di ossigeno in un contesto automotive che vede le immatricolazioni di mezzi a combustione in drastica contrazione e le vendite di vetture 100% elettriche (BEV) che procedono a passo di lumaca. Tuttavia, la varietà di sistemi e la mancanza di una classificazione chiara e condivisa per le auto ibride generano molta confusione tra consumatori e operatori del settore. È quanto emerge da uno studio dell’Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss Business School, che propone di istituire criteri univoci, soprattutto in fase di omologazione, per meglio definire le diverse tipologie di ibrido.
Attualmente a listino sono presenti la bellezza di 762 varianti di auto ibride, distribuite su 244 modelli commercializzati da 48 marchi. Si tratta di una realtà estremamente ricca e frammentata che anziché facilitare la transizione energetica, rischia di disorientare. La vastità e varietà dell’offerta, infatti, dimostra da un lato l’impegno dell’industria automobilistica nella decarbonizzazione del settore, ma dall’altro solleva dubbi sulla reale comprensibilità per chi deve acquistare un’auto con questa tecnologia. In tale scenario, emerge forte l’esigenza di trovare soluzioni che consentano maggiore chiarezza e trasparenza.
Auto ibride: le tecnologie disponibili sul mercato
La confusione nasce dalla molteplicità di configurazioni che rientrano sotto la generica etichetta di “auto ibrida”. Innanzitutto, va specificato che questa tecnologia può genericamente contare su due fonti di energia e altrettanti tipi di trazione, solitamente un serbatoio di combustibile, degli accumulatori elettrochimici e un motore a scoppio (benzina, gasolio, bifuel benzina/Gpl) insieme a uno o più motori elettrici.
Detto ciò, l’attuale offerta si suddivide in sistemi Mild Hybrid, Middle Hybrid, Full Hybrid e Plug-in Hybrid, ciascuno con caratteristiche tecniche e funzionali differenti. I Mild Hybrid o MHEV (Mild Hybrid Electric Vehicle) costituiscono la maggioranza assoluta del mercato, con il 62% dell’offerta complessiva. Sono sistemi a bassa tensione, generalmente tra 12 e 48 Volt, capaci di recuperare energia in frenata e di fornire un supporto al motore termico nelle fasi di accelerazione. Al loro interno si sta affermando il sottogruppo dei Middle Hybrid (o Mid Hybrid), che rappresentano il 14% dei Mild: sono in grado di veleggiare e avanzare per brevi tratti in elettrico.
I Full Hybrid, che sono il 10%, delle ibride a listino permettono una marcia più estesa a motore termico spento, grazie a una batteria più capiente e a un motore elettrico più potente, spesso in grado di azionare il veicolo in autonomia per tratti significativi.
I Plug-in Hybrid (o PHEV, Plug-in Hybrid Electric Vehicle), con il 28% dell’offerta, rappresentano la fascia più avanzata dal punto di vista elettrico, essendo dotati di batterie ricaricabili da presa esterna che garantiscono una percorrenza media in elettrico di circa 79 chilometri, anche ad andature autostradali.
Completano il panorama due modelli Range Extender – definite EREV (Electric Range Extended Vehicle), REEV (Range Extender Electric Vehicle) o REx (Range Extender) – con una quota simbolica pari allo 0,3% del mercato, pensati per funzionare prevalentemente in elettrico, con il motore termico che funge da generatore di supporto.
L’analisi dell’Osservatorio Auto e Mobilità, poi, ha infatti evidenziato la presenza di ben nove differenti criteri di classificazione tra le tredici metodologie oggi utilizzate. Il più frequente fa riferimento alla capacità del motore elettrico di muovere il veicolo in autonomia, ma questa informazione non è nemmeno registrata dal ciclo di omologazione WLTP, oggi unico riferimento normativo europeo.
I limiti dell’attuale normativa
L’unica distinzione prevista dalla normativa UE è tra ibridi ricaricabili esternamente e non ricaricabili. Una semplificazione estrema che non riflette la complessità delle soluzioni tecniche disponibili e che rende invisibili le reali capacità elettriche dei veicoli nel processo di omologazione.
Ne deriva una grave difficoltà per il consumatore nel comprendere il livello di elettrificazione dei vari modelli e per gli operatori di settore nel formulare offerte trasparenti e realmente comparabili. Anche le statistiche, in assenza di una classificazione condivisa, risultano spesso non confrontabili a livello europeo.
Il risultato è che dati e analisi di mercato, fondamentali per le politiche industriali e fiscali, rischiano di perdere di efficacia.
Le proposte dell’Osservatorio
Per ovviare a questa frammentazione, l’Osservatorio Auto e Mobilità propone due criteri di classificazione alternativi, pensati per essere adottati rispettivamente nel breve e nel medio termine.
Nel breve periodo, la proposta consiste in un indicatore oggettivo che mette in relazione la potenza del motore elettrico, quella del motore termico e la massa del veicolo. Si tratta di dati già rilevati in fase di omologazione e presenti nei documenti di circolazione, quindi facilmente utilizzabili. L’indicatore è stato definito “grado di elettrificazione” e mira a fornire una misura quantitativa dell’effettiva capacità elettrica di ciascun sistema. Questo consentirebbe di posizionare i modelli su una scala continua di elettrificazione, semplificando le comparazioni tra segmenti diversi.
Nel medio periodo, invece, si propone un criterio basato sul comportamento reale del veicolo su strada, misurando la percentuale di percorrenza in modalità elettrica durante i cicli urbani. Le categorie verrebbero definite in base al tempo e alla distanza percorsa con il motore termico spento.
I Full Hybrid raggiungerebbero almeno il 60%, i Middle Hybrid si collocherebbero tra il 30 e il 59%, mentre i Mild Hybrid si attesterebbero sotto il 30%. Si tratterebbe di una classificazione più fedele all’esperienza d’uso quotidiana, ma oggi ancora non applicabile per mancanza di una procedura di rilevamento condivisa. Tuttavia, l’integrazione futura di questi parametri nei cicli di prova standard permetterebbe una svolta significativa per la regolazione del settore.
Auto ibride, un problema anche comunicativo
Alla complessità tecnica si somma quella comunicativa. La parola “ibrido” viene spesso utilizzata nei messaggi pubblicitari e commerciali in modo indistinto, senza spiegare le differenze tra sistemi profondamente diversi tra loro. Questo alimenta aspettative non realistiche da parte del consumatore e rende difficoltoso il confronto tra modelli, anche simili per fascia di prezzo o prestazioni.
Anche le statistiche ufficiali risentono della mancanza di omogeneità: centri studi, associazioni e istituzioni utilizzano criteri diversi, con il risultato di produrre numeri non sempre comparabili tra Paesi o periodi diversi. Una classificazione chiara migliorerebbe anche l’efficacia della comunicazione da parte dei costruttori e della pubblicità, contribuendo a un mercato più trasparente e maturo.
Un’evoluzione lunga oltre un secolo
La storia dell’auto ibrida ha radici antiche. Già nel 1900 Ferdinand Porsche progettava la Semper Vivus, un veicolo con trazione elettrica e generatore termico. Ma la vera svolta è arrivata nel 1997 con la Toyota Prius, seguita dalla Honda Insight. Da allora, l’ibrido ha vissuto una crescita costante, con l’introduzione di nuove soluzioni come quelle elencate. La tecnologia si è estesa anche alle vetture sportive, premium e a elevata autonomia elettrica.
Negli ultimi anni, la diffusione delle batterie agli ioni di litio e l’aumento della capacità energetica hanno spinto i limiti dell’ibrido sempre più vicini a quelli dell’elettrico puro. Alcuni modelli PHEV raggiungono ormai percorrenze superiori ai 100 km in elettrico, con velocità e potenza comparabili alle full electric. In parallelo, i costruttori cinesi stanno portando sul mercato europeo tecnologie ibride particolarmente sofisticate, capaci di alzare ulteriormente l’asticella delle prestazioni e dell’efficienza. Tutto questo contribuisce ad aumentare la complessità del mercato e rende ancora più urgente una classificazione univoca.
Perché serve una classificazione standard
1. Per il consumatore: una classificazione chiara aiuta a confrontare modelli diversi e fare scelte consapevoli.
2. Per il legislatore: serve per indirizzare incentivi, regole di circolazione e standard di omologazione.
3. Per il mercato: una definizione univoca rende i dati confrontabili tra Paesi, agevolando strategie commerciali e industriali.
4. Per la transizione ecologica: una visione trasparente delle tecnologie aiuta a valorizzare le soluzioni più efficaci nella riduzione delle emissioni.

a cura di Roberto Barone
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