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Furti auto in aumento, ladri sempre più hi-tech

L’analisi annuale curata da LoJack fotografa i trend del business dei furti che oggi vede i ladri d’auto strutturati in organizzazioni criminali e dotati di dispositivi tecnologici per sottrarre rapidamente (bastano 30 secondi) l’auto. Sempre più difficile il recupero. Meno di 4 su 10 vengono ritrovate

Cresce il numero delle vetture rubate ogni giorno sulle strade italiane (287), diminuisce la percentuale di ritrovamento (sotto la soglia del 40%). Nel 2018 di oltre 63mila veicoli si sono perse le tracce, rubati su commissione e instradati su mercati esteri o “cannibalizzati” per il mercato nero dei ricambi. I SUV continuano ad essere nel mirino dei ladri. Sempre più spesso i ladri utilizzano dispositivi hi-tech per sottrarre l’auto: il 25% dei furti dei SUV e delle vetture di ultima generazione viene portato a termine in questo modo, beffando i sistemi di protezione in soli 30 secondi. Il metodo hi-tech più diffuso? Il “relay attack”. Campania, Lazio e Lombardia restano le Regioni più a rischio, Panda, 500 e Lancia Ypsilon i modelli preferiti dal business criminale. Una soluzione per contrastare efficacemente questa piaga arriva dall’abbinamento della tecnologia in radiofrequenza con le soluzioni telematiche.

Sono questi i principali trend che emergono dal “Dossier annuale sui Furti d’Auto”, elaborato da LoJack Italia, società del Gruppo CalAmp leader nelle soluzioni telematiche per l’Automotive e nel recupero dei veicoli rubati, che ha raccolto e analizzato i dati forniti dal Ministero dell’Interno e li ha integrati con quelli provenienti da elaborazioni e report nazionali e internazionali sul fenomeno.

I furti d’auto, dopo 5 anni di costante e graduale calo, sono tornati a crescere: nel 2018 sono stati 105.239 gli autoveicoli sottratti (287 al giorno), +5,2% rispetto ai 99.987 registrati nel 2017. Un’inversione di tendenza tanto più preoccupante in quanto ritrovare le auto rubate si rivela sempre più complicato. Lo scorso anno solo 41.632 sono state restituite ai legittimi proprietari, il 39,5% (era il 44% nel 2016 e addirittura il 53% nel 2007). Le restanti 63.607 vetture rubate sono sparite nel nulla, trasportate all’estero (soprattutto verso Serbia, Albania e Slovenia oppure verso l’Africa, l’estremo Oriente o il Brasile) e rivendute come auto usate o smontate nel giro di poche ore per il redditizio mercato nero nazionale dei ricambi.

Le zone “rosse” e le vetture più a rischio

Il fenomeno dei furti d’auto conferma la polarizzazione intorno a 5 Regioni in cui si concentrano oltre 84mila episodi e che lo scorso anno hanno, tutte, registrato un aumento di questi reati. A seconda della città e della Regione in cui si vive le probabilità di restare vittima di un furto d’auto e successivamente di ritrovarla possono cambiare in modo significativo.

Il primato dei furti spetta alla Campania (21.577 sottrazioni e +8% vs il 2017), seguita dal Lazio (19.232 e + 4%), Puglia (17.818 e +14%), Lombardia (13.004 e +1%) e Sicilia (12.920 e +6%).

Nel nostro Paese le zone quasi “Theft free” (sotto la soglia dei 1.000 furti d’auto) sono, come intuibile, le Regioni meno estese e per lo più collocate nel Nord-Italia: Valle D’Aosta (22 casi), Trentino Alto Adige (324), Molise (337), Basilicata (380), Friuli Venezia Giulia (436), Liguria (605), Marche (777).

Le Regioni in cui le percentuali di ritrovamento della propria auto dopo il furto si riducono al lumicino restano il Lazio (28% dei recuperi del totale auto sottratto) e la Campania (34%).

Quali le vetture più rubate?

La top ten delle auto maggiormente “nel mirino” evidenzia nelle prime posizioni i modelli più diffusi sul mercato, con il costruttore nazionale protagonista. In testa la FIAT Panda (circa 11.000 sottrazioni), seguita dalle FIAT Cinquecento (7.387), Punto (6.560) e dalla Lancia Y (3.752). Completano la graduatoria la Volkswagen Golf (2.661), la Ford Fiesta (2.138), la Smart Fortwo Coupè (1.824), la Renault Clio (1.655), la FIAT Uno (1.629) e la Opel Corsa (1.277). Anche guardando ai modelli, il business dei furti appare evidentemente concentrato sui primi 10 che complessivamente rappresentano una quota del 43% del totale rubato.

Resta alto l’allarme SUV

Anche nel 2018 si è confermato il focus delle bande criminali sui furti degli Sport Utility Vehicle, che conservano mediamente un valore economico più elevato (oltre i 20.000 euro) rispetto alle autovetture e risultano perciò più profittevoli, in particolar modo nei casi di sottrazione su commissione.

Dopo l’aumento dei furti dell’8% registrato nel raffronto 2017 vs 2016, anche lo scorso anno questo particolare business ha visto crescere i propri numeri (+7%, da 4.623 a 4.940 unità) e aumentare la propria concentrazione in tre Regioni che da sole rappresentano quasi circa il 60% del fenomeno: Lazio (1.189), Puglia (911) e Campania (909 e un boom del +38% nel 2018).

L’attenzione della criminalità organizzata verso questo segmento e la determinazione nell’appropriarsene è confermato anche dalle ridotte percentuali di recupero in caso di furto: meno di 1 su 3 (31%) viene ritrovato.

La classifica dei SUV preferiti dai ladri vede nelle prime 5 posizioni: Nissan Qashqai (616 unità rubate), Range Rover Sport (550), Land Rover Evoque (416) e Toyota RAV 4 (359), Kia Sportage (287).

Furti sempre più hi-tech

Le tecniche più diffuse per rubare l’auto in 30 secondi: l’ascesa del “relay attack”

Il fenomeno furti è in costante evoluzione e si adatta rapidamente alle nuove tendenze del mercato automotive; oggi è sempre più un’attività strategica appannaggio delle organizzazioni criminali o di bande ben strutturate e attrezzate con device tecnologici di ultima generazione in grado di aprire e mettere in moto vetture di elevato valore, così come le utilitarie.

Secondo le stime LoJack elaborate anche sulla base degli strumenti di ritrasmissione recuperati dalla Polizia nelle attività congiunte di recupero, oggi in Italia il 25% dei furti di vetture e SUV dotati di Intelligent (chiave contactless che consente l’apertura/chiusura del veicolo a breve distanza), viene compiuto anche grazie all’utilizzo di un dispositivo tecnologico, in grado di beffare il proprietario della vettura in soli 30 secondi, anche quando ritiene di essere al sicuro.

In particolare due sono le modalità hi-tech più utilizzate da quelli che una volta venivano definiti “topi d’auto” che operano in Italia:

  1. la ri-programmazione della chiave attraverso la presa di diagnostica

  2. la duplicazione del segnale della smart key: il “relay attack”

In relazione al primo caso, negli ultimi cinque anni è aumentato gradualmente l’utilizzo di apparecchiature di programmazione della chiave tramite la connessione fisica alla porta della diagnostica di bordo OBD, anche grazie all’ampia disponibilità in rete di strumenti di sabotaggio e alle finora inefficaci contromisure messe in campo dalle Case auto. Il ladro forza la portiera in modo tradizionale per introdursi nell’abitacolo, collega un dispositivo alla porte OBD ed ha così accesso alle informazioni riservate del transponder, ottenendo facilmente una nuova chiave nel giro di pochi secondi.

Altrettanto efficace con i veicoli dotati di smart key è il cosiddetto “relay attack”: grazie a ripetitori in radiofrequenza, il ladro può anche a distanza di alcuni metri (anche dall’esterno dell’abitazione) captare il segnale della “chiave elettronica” in possesso del proprietario, farlo “rimbalzare” dal suo device fino a quello del suo complice, posizionato nelle vicinanze della vettura da sottrarre. L’auto viene così ingannata e i sistemi di protezione azzerati.

Questo avviene perché le intelligent key consentono di accedere all’abitacolo della vettura senza dover toccare prima la chiave; l’auto infatti “avverte”, attraverso un generatore di onde radio a bassa frequenza, la presenza del proprietario nelle vicinanze e sblocca le portiere, o le chiude una volta che lo stesso si allontana. Quando il telecomando è abbastanza vicino, un codice identificativo viene riconosciuto da un ricevitore all’interno dell’auto; questo è il momento in cui è possibile rilevarne i codice, oppure è possibile farlo anche quando la smart key non è vicina alla vettura attivandone la trasmissione del codice attraverso specifici device utilizzati per il sabotaggio, come descritto sopra.

Per definizione nessun modello è inviolabile.

Si tratta di due tecniche che sfruttano la debolezza dei software delle case costruttrici, molto diffuse all’estero e che nel nostro Paese stanno facendo rapidamente breccia.

Il paradosso è che proprio le sempre più avanzate dotazioni tecnologiche oggi a bordo delle vetture rischiano di renderle meno sicure e protette. Online sono reperibili a prezzi contenuti strumenti in grado di beffare in diversi modi i sistemi di chiusura delle porte e di blocco del motore.

La diffusa adozione dell’attacco a relè è dovuta sia all’efficacia dei dispositivi facilmente reperibili in rete, sia dall’aumento dei veicoli dotati di chiave intelligente. In questo modo i criminali sono in grado di sottrarre il veicolo parcheggiato davanti l’abitazione, durante la notte, riducendo al minimo il rischio di essere colti sul fatto. Le nuove modalità di furto hi-tech, cosiddette “software based” potrebbero essere tra le cause del recente aumento dei furti nel nostro Paese.