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La filiera automotive è pronta per la transizione tecnologica?

Con che modalità  le imprese della filiera automotive si stanno approcciando alla transizione ecologica e tecnologica in atto? Sono pronte ad affrontare un cambiamento senza precedenti? Un’indagine condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia e dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo si è focalizzata su questi scottanti argomenti, analizzando in particolare il contesto bresciano (un campione di 24 imprese di riferimento del settore) ma individuando delle costanti che possono essere estese all’intero tessuto automotive nazionale.  Ad emergere è che le imprese del comparto sono particolarmente propense a investire in innovazione: circa il 45% del budget complessivo verrà dedicato, in prospettiva, alla Ricerca e Sviluppo. Pesano, invece, come ostacolo agli investimenti, l’incertezza tecnologica (63% del campione), così come il ritardo dei fornitori in tema di innovazione: un potenziale elemento di rallentamento per l’intera filiera.

Il Sistema Brescia è complessivamente pronto ad affrontare le sfide del futuro per quanto riguarda il settore Automotive, soprattutto con riferimento alle tematiche della transizione ecologica e tecnologica in atto. A testimoniarlo è, in particolar modo, la propensione delle realtà bresciane a investire sul tema innovazione: fatto 100 l’importo complessivo del budget disponibile, le imprese dedicheranno nei prossimi anni circa il 45% dei fondi alla R&S (autonoma o con partner) o a consulenze (di università o di terzi).

È questa una delle evidenze emerse dall’indagine “La transizione tecnologica nell’Automotive: le sfide da vincere per la filiera bresciana”, condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia e dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, e focalizzata in particolare sulle modalità con cui le imprese si stanno approcciando alla transizione ecologica e tecnologica in atto. È stato coinvolto un campione di 24 imprese bresciane leader del comparto, con un fatturato complessivo di 2,7 miliardi di euro, di cui il 77% riconducibile a ricavi realizzati direttamente nel settore automotive.

Tra i risultati della ricerca, emerge come il 70,8% del campione osservato dichiari di avere al suo interno un ufficio di R&S, percentuale che sale al 77,8% per le grandi imprese; mediamente le aziende investono il 4,3% del loro fatturato in R&S: si tratta dunque di soggetti di dimensioni medio-grandi (almeno in ambito italiano), caratterizzati da una propensione a investire in innovazione medio-alta e certamente superiore alla media del manifatturiero italiano.

Le imprese della filiera auto di questo territorio mostrano poi una buona diversificazione produttiva, riconducibile principalmente a due comparti: “Motore” e “Abitacolo”. La fotografia scattata vede ai primi posti la specializzazione in sistemi motore (42% delle risposte) e parti esterne (33%); seguono appaiati telaio/carrozzeria e sistemi di trasmissione (25%), gestione termica (21%), produzione di parti interne (17%) e componenti di regolazione (13%). Per quanto riguarda la transizione ambientale e tecnologica, le aziende più coinvolte sono, come atteso, quelle specializzate nel “Motore” (93%).

Elementi significativi emergono anche dal punto di vista delle strategie: tenendo in considerazione che l’indagine è stata somministrata prima della decisione del Consiglio europeo di fine giugno 2022 (escludere dal mercato del nuovo tutte le auto con motore endotermico), si delinea già chiara l’urgenza del momento: solo l’11% delle imprese ha, infatti, dichiarato di non avere in agenda nuove strategie industriali per affrontare il complesso scenario competitivo che si profila nella filiera dell’auto. Il Made in Brescia punta soprattutto sulla riconversione della produzione (33%) o su nuove alleanze (33%).

Gli elementi di potenziale ostacolo agli investimenti sono invece costituiti, in primo luogo, dell’incertezza tecnologica (63%), seguita a distanza da quella di mercato (38%). Si presenta poi il tema del capitale umano, a causa del mismatch tra domanda e offerta di lavoro (il 25% segnala la mancanza di competenze). Non emergono invece criticità di carattere finanziario, un elemento che va letto alla luce del buono stato di salute delle aziende intervistate e che riflette anche le condizioni favorevoli di accesso al credito esistenti al momento della rilevazione.

L’indagine si è poi concentrata sull’individuazione dei principali partner nei progetti di innovazione seguiti dalle imprese dell’automotive bresciano. La fotografia scattata, riferita allo scenario attuale, vede ai primi posti i soggetti della filiera: clienti (77% delle risposte), fornitori di materie prime (55%), fornitori di tecnologie (55%) e fornitori di impianti (50%). Un elemento di interesse è quindi rappresentato dalla significativa quota di operatori (50%) che interagisce con il mondo universitario: è un aspetto quanto mai positivo, se si pensa al fatto che il sistema accademico è spesso giudicato in qualche modo distante da quello delle aziende.

La ricerca ha destinato ampio spazio all’analisi dei rapporti che le aziende bresciane dell’Automotive hanno con i propri fornitori e clienti. Si tratta di un osservatorio privilegiato da cui analizzare il livello di collaborazione all’interno della filiera, un elemento considerato strategico e imprescindibile per affrontare con successo le importanti sfide che il sistema delle imprese ha di fronte nei prossimi anni. Per quanto riguarda i fornitori, le risposte hanno raccolto la visione su oltre 900 realtà italiane, spesso costituite da realtà produttive di piccole e medie dimensioni. Da questo punto di vista, i vantaggi competitivi che caratterizzano la fornitura nazionale riguarderebbero aspetti piuttosto tradizionali come quelli della qualità (segnalata dall’82% delle imprese) e della flessibilità (71%): sono peculiarità tipiche della manifattura italiana e bresciana, un “marchio di fabbrica” da sempre riconosciuto a livello mondiale ma verosimilmente non più sufficiente. Infatti, gli elementi riferiti all’innovazione, per questi stessi soggetti, risultano scarsamente considerati (innovazione di prodotto 35%, di processo 29%, organizzativa 6%). Si tratta di un importante segnale di allarme, che denoterebbe una potenziale debolezza della filiera di fronte allo scenario futuro, che vede nell’innovazione un elemento sempre più strategico e imprescindibile.